lunedì 23 luglio 2007

Erba e formaggio

Lo so cosa sta pensando il mio lettore medio. E cioè, questa ha proprio un chiodo fisso: il cibo. Non me la sento assolutamente di smentire. Però vale la pena di sentire questa storia che ricorda un po Heidi, con le sue gote rosse e con una capretta in braccio (chissà che odore...) e un po' la fiaba di Hansel e Gretel, nella fattispecie quando si entra nella cucina della strega.

Ma partiamo dagli esordi, dai prodromi. Domenica, giornata meravigliosa. Cielo limpido e blu. Non azzurro o celeste, proprio blu. Di quel blu che quando vai in montagna ti sembra di poter toccare il cielo con un dito. Un blu che contrasta con il verde delle montagne e con le cime un po' brulle, ma non più innevate. Il vento ha spazzato via ogni ombra di nuvola, continua a soffiare forte e ti fa illudere che finché ci sarà lui nessuna perturbazione improvvisa ti potrà sorprendere. Peggio di ogni altra cosa la nebbia, che ti porta da 30 gradi a 15 e ti fa perdere la via della meta e quella di casa. Ma non è questo il caso. Niente nebbia, niente nuvole. Il blu più profondo.

La giornata si preannuncia fin da subito impegnativa, quando all'inizio della passeggiata leggiamo un cartello in legno, bello massiccio, che recita: Bric Boucie 4.40 h.. Ovvero cammina fin che ne hai e poi quando hai finito continua ancora per un bel bel po'. A tirare su il morale, il panorama magnifico. Arrivati al suddetto Bric, si gode un panorama mozzafiato. Sembra di essere sul balcone del mondo e guardare giù i poveri mortali. Ma morti eravamo noi, dopo quattro ore di passeggiata! Il sole ripaga di ogni sforzo, e con gli interessi. Bruciata anche questa volta. Bruciante dover ammettere alla propria mamma di aver usato a quasi 3000 metri la protezione n. 2 e sentirsi rimproverare come quando avevo 2 anni...

La discesa dura un paio di orette, ma ad aspettarci al Pian della Crosennetta, un alpeggio. I maiali si rotolano soddisfatti e noi li guardiamo immaginando: noi, loro, uno spiedo. Poco oltre, l'agriturismo. La Porziuncola. Non ci siamo fermati che per un breve caffè. A pochi metri in linea d'aria una casetta di pietre con tetto in lose. Tipica costruzione valligiana. Entrando sembra di essere nell'antro dello stregone. Il tetto bassissimo. Ad illuminare il locale solo una misera lampada che fa luce solo sul tavolo. Rischiara a tratti la luce del sole che filtra dal tetto sconnesso e costruito solo da travi e lose. A destra sinistra e ovunque, oggetti di ogni tipo. Dai pintoni, ai paioli e anche una piccola discarica lì in bella vista. Manca il focolare, questo si. Ma ad aprire il cuore sulla sinistra, dietro la porta d'ingresso una piccola serie di ricotte appese ad asciugare, lungo il muro. E nella profondità di campo l'altra porta lascia intravedere grandi e piccole tome che riposano e aspettano solo noi per uscirsene dal buio. Per pesare il formaggio il bergè tira fuori una vecchia bilancia col piatto e il contrappeso. Anche se pesa un po' di più o un po' di meno, non importa. E' quasi un peccato doversi allontanare da un posto dove il tempo sembra essersi fermato. Dove la fretta non esiste. Dove il rapporto umano conta più di ogni altra cosa.


mercoledì 18 luglio 2007

I love camping!


O lo ami o lo odi. Non ci sono vie di mezzo. Devo dire che capisco benissimo chi lo odia. Ha tutte le buone ragioni. La coda ai bagni e ancor peggio alle docce. Lavare i piatti nelle aree comuni barcamenandosi tra gli avanzi di cibo del tuo vicino di piazzola. Piedi puliti mai. Insomma più che comprensibile.
Ma chi ama il camping lo ama anche per questo. Perchè tutto quello che è campeggio è libertà. E devo ammetterlo. I love camping! Adoro tutto di lui. Perchè la libertà è in ogni suo aspetto. Non si prenota e si va via quando si vuole. Tanto stai tanto paghi. Adoro quando si arriva alla reception. Magari stanchi e accaldati. Seguendo per chilometri l'insegna del camping Tal-dei-tali. Sperando che non sia un luogo di orrore e disperazione abbandonato da dio e dagli uomini. Arrivi allora alla reception. E ti guardi intorno. Le stelle intano. Dalle 3 in su c'è la carta igienica nei bagni. Fatto questo da non sottovalutare mai. Poi i più sgamati ti tirano fuori la mappa con le piazzole e ti spiegano dov'è la tua. Di solito l'ultima in fondo. Lontana anni luce dai bagni. Sai... di notte quando ti prende il bisogno.. Allora provi a trattare per fartene dare una più vicina e spesso ci riesci. Poi esci. E cerchi la grande protagonista: la piazzola. Come sarà? Piccola, grande? E i vicini? I meravigliosi vecchietti sempre pronti ad aiutarti o la famiglia con sei bambini e due cani? Si parcheggia e poi via! Si monta. Se è la prima di una lunga serie di montaggi, allora bisogna riprendere confidenza. Ritrovare i gesti abituali. Mettere su la base, tirare i bastoncini, mettere la copertura. Decidere l'entrata anteriore e quella posteriore, piazzare i materassini e sopra i sacchi a pelo. Tutto Ferrino ovviamente! Un po' di campanilismo all'estero ci vuole sempre. Specie in Francia, dove regna sovrano Decathlon e la Quechua. Poi via alle mini sedie e il mini tavolo. Stanco, ti siedi e ti guardi intorno. Già ti senti in vacanza. Un po' d'aria smuove la calura. Devi ancora stendere il filo del bucato e scaricare le valige dalla moto, ma si puo' aspettare. Anche se hai bisogno, prima di tutto, di una lunghissima doccia. Allora via. Ciabatte, asciugamano e docciaschiuma. Si esplorano i bagni. Punto spesso debole del nostro campingmondo. Voto 10 alle docce con tanti ripiani. Voto 0 ai campeggi senza carta igienica. Piuttosto fateci pagare di più ma quella non deve mai mancare!
L'atmosfera camping è fatta tutta di rilassatezze, del giocare a carte per ore, del cucinare a qualsiasi ora del giorno, girare sempre in ciabatte. Leggere e ancora leggere. In tutte le posizioni e con tutte le condizioni di luce.
Campeggio: aspettaci! Stiamo arrivando...

martedì 10 luglio 2007

Radici

Se mi facessero quel giochetto semi psicologico di abbinare una data parola alla prima che mi viene in mente, alla parola radici mi verrebbe in mente Kunta Kinte e le sue grandi narici. Forse questo dovrebbe farmi pensare. Farmi riflettere.
Ho sempre invidiato le persone che hanno delle solide radici piantate in un preciso territorio. Quelli che hanno gli zii, i cugini, i genitori, i nonni, che appartengono tutti ad una stessa città o quanto meno ad una stessa regione. Perché questo dovrebbe dar loro un particolare legame con il territorio, la sua geografia, i nomi dei luoghi. Quella montagna là si chiama, quello è il colle tal dei tali. Oppure in questa frazione mi zio... Mio nonno ha venduto quella casa. Una volta la mia famiglia abitava lì. Ecco forse questo mi è sempre un po' mancato.
L'amore per il territorio e per questa regione c'è, senza ombra di dubbio. Ma mi manca l'appartenenza. L'idea che sangue e terra siano legate in modo indissolubile. Anche se magari è solo un'illusione. Non è detto che per tutti sia lo stesso. Ma avere le proprie radici in parti d'Italia in cui non vado mai, mi dà un po' di instabilità. Dire: questa è la mia regione, questi i miei piatti tipici, questo il mio dialetto. Alla fine a me rimane un pugliese imbastardito, una totale incomprensione del romagnolo e un patetico tentativo di parlata piemontese. Perché alla fine il dialetto fa parte di quello che uno è e pensa di essere. Mescolando insieme tutte queste lingue, non ne viene fuori una sana. Non mi resta quindi che il puro Italiano. Unica ancora di salvezza.
Allora come si può fare dopo quasi trent'anni passati in un posto a sentirsene veramente parte integrante?
E' una domanda alla quale oggi non so rispondere e magari nemmeno domani.
Vorrei sapere cosa passa per la mente di un immigrato, anche solo dal nord al sud, da una città all'altra. Cosa gli passa per la testa, quali diventano i suoi punti di riferimento. Che cosa fa diventare un luogo o delle persone man mano famigliari. Che cosa fa diventare un alloggio la tua casa. Una città la tua città.
Probabilmente non apparteniamo a nessun posto in particolare ed è solo la nostra forma mentale a permetterci o no di attaccarci ad una catena di montagne o al profilo di una scogliera.
Spero che i miei amici che vanno in Francia non si sentano troppo spaesati, almeno all'inizio, poi passerà. Sappiano che qui sempre e comunque per loro c'è casa.

venerdì 6 luglio 2007

Deserto freddo



Ormai ci hanno convinto. Siamo nell'era del consumismo. Da anni ormai. Compriamo, usiamo, buttiamo. O ancor meglio, accumuliamo. Di qualsiasi cosa abbiamo dei doppioni. Mille borse, mille scarpe, mille occhiali da sole. Appena hanno un minimo difetto, eccoci pronti a cogliere la palla al balzo e buttare via.
Il cellulare ha la batteria che si scarica troppo presto? Non vedevamo l'ora! Alziamo lo sguardo al cielo e gli strizziamo l'occhio. Anziché comprare la batteria, buttiamo via il vecchio catorcio e ne prendiamo un nuovo. E avanti così un po' per tutto.
Come piccoli ghiri in vista del letargo o formichine nel loro menage quotidiano e anticicala, accumuliamo. Accumuliamo e ancora accumuliamo. Tanto che quando poi ci tocca fare il trasloco, capiamo che forse abbiamo un tantino esagerato ad affastellare tutte quelle cose senza le quali saremmo morti in preda ad una crisi di pianto. Poi ce ne facciamo una ragione e con una certa soddisfazione buttiamo di nuovo via tutto. Perchè sappiamo che solo in questo modo il processo riparte da capo. Un po' come tagliarsi i capelli a zero per rinforzarli, non so se mi spiego.
Solo un'isola dorata si salva. Nel silenzio della sua camera. Con la luce spenta. Quando la porta si apre, tutto dentro si illumina. E davanti a noi, il vuoto più assoluto. Com'è possibile che lì il processo non si sia attivato? Non c'è alcun segno di accumuli di materiale inutile. Tutto ha assolto alla sua funzione. Ogni cosa è stata ottimizzata. L'ergonomia ha raggiunto l'apice di potenza. Tutti gli abbinamenti possibili sono stati fatti.
Ma ora, il frigo è vuoto. Spostiamo frettolosamente il porta uovo vuoto, rimane solo il porta formaggi (con dentro le Sottilette, almeno loro...) e il porta burro. Ma non è che possiamo metterci lì a sgranocchiare burro e sottilette. Apriamo frettolosamente il vano delle verdure e anche li lo stesso deserto. Passiamo di livello. Andiamo al piano di sopra e spalanchiamo il freezer. Dentro. Due serie di vaschette per il ghiaccio, del minestrone, ovviamente già aperto, una scatola semivuota di piselli e tanto tanto tanto ghiaccio alle pareti. Con tutto quel ghiaccio, il freezer sembra quasi pieno!
Piccolo deserto freddo, d'estate fa quasi piacere.

martedì 3 luglio 2007

Guide & co.


Ormai non si sa più di cosa scrivere. Le librerie sono affollate di ogni sorta di libro e specialmente negli ultimi anni il genere delle “Guide” ha preso il sopravvento. Troviamo guide su ogni genere di argomento. Ora non dico che alcune non siano interessanti e utili, come le classiche guide turistiche o quelle che ti fanno diventare in 50 pagine un mago di Photoshop/Autocad o che addirittura ti trasformano in un esperto giurista in un batter d’occhio.
Forse di retaggio americano (dobbiamo sempre farci fregare sul tempo!) i manuali di vita, quindi guida all’amore consapevole, all’amicizia, al divorzio, separazione, matrimonio, figli, sesso e un po’ tutto quel che può venire in mente.
Toccando questo argomento mi viene in mente la mia cara Bridget Jones che a seconda dei suoi umori comprava o buttava via i manuali d’amore tipo “Le donne vengono da Venere e gli uomini da Marte” dei quali aveva una vera e propria libreria.
E poi i manuali di yoga, di ballo, di corsa (!!), di aromaterapia. Insomma un elenco davvero infinito.
Ora io propongo una nuova dimensione di guide. Chi mi vuole aiutare a scrivere è il ben venuto.
Guida ai bagni pubblici italiani. Abbinata ovviamente alle varie guide turistiche delle piccole medie e grandi località dello stivale.
Perché quando sei in giro, cammina, visita, sali e scendi dai mezzi pubblici, ecco arriva un certo punto in cui ti guardi intorno e ti chiedi. E adesso?? Beh, ecco, avere una chiara mappa della città coi punti chiave sarebbe utile. Ad esempio ufficio comunale la prima a destra, o centro commerciale con visita obbligata a due fermate di pullman. Poi bar e locali. Banche. Fast Food. Maledetto Mc Donald’s che richiede il codice d’ingresso alla toilette abbinato allo scontrino fiscale (diabolici. D’altro canto hanno costruito un impero..).
Inizio a pensare alla copertina.


lunedì 2 luglio 2007

Dreaming of London



Adoro viaggiare. Non sono una fanatica del viaggio. Tipo quelli che non si comprano un panino/caffè/giornale per tutto l'anno per poi farsi un mese di vacanza nella Polinesia Francese.
Ma un paio di viaggetti all'anno, ben pianificati, me li concedo. Mete preferite? D'inverno le capitali europee e d'estate tutto quello che ha acqua salta tutt'intorno.
Se devo proprio scegliere, quella che per me è La Città, o meglio The City.
Beh senza pensarci per più di un secondo, quella che ho nel cuore è Londra. E proprio oggi guardando le foto scattate dalla mia collega Gnagna nello scorso week end al sapore di terrorismo nella bella London City, si sono riaffacciate nella mia memoria una serie di istantanee, di ricordi e di emozioni legate ad una città da favola, eclettica, nevrotica, istintiva. Ormai dalla mia ultima visita sono trascorsi ben dieci anni. Non c'era la ruota panoramica o il Millenium Bridge, neanche il
suppostone di cemento anche noto come The Gherkin (il cetriolo). Ma tutto il resto si! Le corse giù per la scala dei double deker bus (la forza di gravità aveva un grosso potere attrattivo verso il basso), il chilometrico labirinto di scale mobili e tapis roulant di King's Cross. Poi la Londra della metro dove non devi neanche chiedere un'informazione che tutti si mobilitano per dartela. Stare tra i leoni di Orazio in Trafalgar Square. Guardare lo scempio fatto al Partenone nel British Museum. Perdere una scommessa alla National Gallery e dover pagare un hot dog (o l'avevo vinta io?). Perdere sempre lì una lente a contatto, ed essere aiutati da una very clever guardia museale. E poi i pub dove danno alcol a tutte le ora del giorno, ma quando scatta il coprifuoco din din din, suona la campana e tutti fuori dalle scatole. Seguire una parata militare a Bukingham Palace. Fotografare tutti gli ingressi dei Virgin Mega Store. Assaggiare per la prima volta le Onion Rings da Burger King. Scendere all'aeroporto di Standsted, prendere un'auto a noleggio e non ricordarsi più da che lato guidavi prima e da che lato devi guidare adesso. E poi il Mind The Gap e i topi della metro (la metro torna sempre!). I tramonti rosa alle spalle di Tower Bridge..
Meglio fermarmi qui. Mi viene un po' di malinconia. Tanto so che Londra è lì. Non mi aspetta. Perché Londra corre. Ma quando vorrò, porto sempre raggiungerla.