martedì 10 luglio 2007

Radici

Se mi facessero quel giochetto semi psicologico di abbinare una data parola alla prima che mi viene in mente, alla parola radici mi verrebbe in mente Kunta Kinte e le sue grandi narici. Forse questo dovrebbe farmi pensare. Farmi riflettere.
Ho sempre invidiato le persone che hanno delle solide radici piantate in un preciso territorio. Quelli che hanno gli zii, i cugini, i genitori, i nonni, che appartengono tutti ad una stessa città o quanto meno ad una stessa regione. Perché questo dovrebbe dar loro un particolare legame con il territorio, la sua geografia, i nomi dei luoghi. Quella montagna là si chiama, quello è il colle tal dei tali. Oppure in questa frazione mi zio... Mio nonno ha venduto quella casa. Una volta la mia famiglia abitava lì. Ecco forse questo mi è sempre un po' mancato.
L'amore per il territorio e per questa regione c'è, senza ombra di dubbio. Ma mi manca l'appartenenza. L'idea che sangue e terra siano legate in modo indissolubile. Anche se magari è solo un'illusione. Non è detto che per tutti sia lo stesso. Ma avere le proprie radici in parti d'Italia in cui non vado mai, mi dà un po' di instabilità. Dire: questa è la mia regione, questi i miei piatti tipici, questo il mio dialetto. Alla fine a me rimane un pugliese imbastardito, una totale incomprensione del romagnolo e un patetico tentativo di parlata piemontese. Perché alla fine il dialetto fa parte di quello che uno è e pensa di essere. Mescolando insieme tutte queste lingue, non ne viene fuori una sana. Non mi resta quindi che il puro Italiano. Unica ancora di salvezza.
Allora come si può fare dopo quasi trent'anni passati in un posto a sentirsene veramente parte integrante?
E' una domanda alla quale oggi non so rispondere e magari nemmeno domani.
Vorrei sapere cosa passa per la mente di un immigrato, anche solo dal nord al sud, da una città all'altra. Cosa gli passa per la testa, quali diventano i suoi punti di riferimento. Che cosa fa diventare un luogo o delle persone man mano famigliari. Che cosa fa diventare un alloggio la tua casa. Una città la tua città.
Probabilmente non apparteniamo a nessun posto in particolare ed è solo la nostra forma mentale a permetterci o no di attaccarci ad una catena di montagne o al profilo di una scogliera.
Spero che i miei amici che vanno in Francia non si sentano troppo spaesati, almeno all'inizio, poi passerà. Sappiano che qui sempre e comunque per loro c'è casa.

4 commenti:

Sab ha detto...

Grazie Vale,è consolatorio sapere di avere una famiglia che ci appoggia al nostro fianco,anche se non è quella di sangue..penso che ci si affezioni ai luoghi in base alle esperienze che si fanno ed alle persone significative che si incontrano,non solo perchè lì si nasce ed in un certo senso si è quasi obbligati ad appartenere.Penso che le radici siano importanti per una questione di identità,ma non devono per questo essere la scusa comoda che intralcia la decisione di fare alcune scelte,anche radicali.A volte confesso però di essere pure io alla ricerca di un posto di partenza,un riferimento, una sicurezza,ma la mia storia è fatta di tanti posti e figure di riferimento.Voglia di andare ma a volte anche di restare,c'est la vie ma cherie.Radici di liquirizia che masticavo quando ero piccolina,ecco un'altro ricordo.

Anonimo ha detto...

Io sono fortunata ed ho le mie radici. E' vero, è bello sapere che è tutto lì, sentire che sei fatta di quell'aria e di quella terra. Però non sempre la famiglia, quella vera, corrisponde con quella di sangue, e si può soffrire in egual modo avendo amici che si conoscono da una vita sparpagliati per il mondo. Così come si può essere felici in qualsiasi luogo se accanto alla persona che si ama.

"casa tua non può essere un luogo, ma solo una persona"
-viaggio al termine di una stanza- T. Fischer

Mammazan ha detto...

Sono arrivata a Torino che avevo solo 4 anni. La mia famiglia "meridionale" piccola chiusa con padre autoritario e nessuna frequentazione. Mi sono integrata , ho l'accento piemontese quando parlo ma difendo sempre la mia meridionalità anche parlando il mio dialetto. Ho imparato ad amare questi posti ma non certamente la gente se non in piccola parte. Comunque il mio cuore è relativamente a Cisternino, lì, infatti, andavo solo 1 mese all'anno e mi annoiavo a morte e l'ho perfino odiato. Ho amato di più Torino ma non subito. l'ho apprezzata quando ho cominciato a conoscerla. Non so dove sono le mie radici, sono ben sparpagliate , ma ancorate temacemente.mams

ziut ha detto...

Io sono nato quì. Ho un forte accento piemontese, corroborato da una buona conoscenza del dialetto e da una buona pronuncia, con qualche inflessione cuneese esito di frequentazioni nella zona di Bra e Cherasco. Parlando in dialetto inganno spesso anche vecchi piemontesi i quali strabuzzano gli occhi quando rivelo di essere di origini pugliesi, così come alcuni meridionali quando all'improvviso sforno frasi in un impeccabile "cistranese".
Qui ho vissuto, ho studiato e lavoro.
"Giù" ho passato l'infanzia più bella, dai 3 ai 6 anni, senza le rotture della scuola, scorazzando coi contadini e imparando i segreti del loro dialetto, bevendo l'acqua del pozzo, leggendo alla luce del lume a petrolio, senza veri servizi igienici ma affidandomi alla clemenza delle foglie di vite o di fico (dipendeva da quale era più vicina !), senza telefono e acqua corrente.
E allora quali sono le mie radici ?
Sono un torinese figlio di emigrati o un meridionale del profondo nord ?
Credo che Sabrina abbia ragione : le proprie radici sono le persone che frequentiamo e amiamo. I luoghi sono un corollario che senza di esse perdono spessore e significato.